Gender gap: genera il cambiamento partendo da te

“Dobbiamo rimodellare la nostra percezione di come ci consideriamo. Dobbiamo farci avanti come donne e prendere il comando.” – BEYONCÉ

Ovunque si guardi, troviamo donne che hanno lasciato indietro qualcosa di importante per loro lungo il cammino. Alcune hanno rinunciato alla carriera, altre alla famiglia, altre ancora ai piaceri della vita e quello che più di tutto mi ha lasciata perplessa, è sapere che queste rinunce vengono statisticamente fatte più dalle donne che dagli uomini. Ti sei mai chiesta il motivo per cui accade?

Secondo il Global Gender Gap Report, un’altra generazione di donne dovrà aspettare anni prima di ottenere la parità di genere e credo ti basti guardarti intorno per sapere che, purtroppo, non si tratta di un errore. Si stima che a questi ritmi, ci vorrebbero almeno 267 anni prima di raggiungere una piena parità economica e il dato più preoccupante è sapere che gran parte di questo cambiamento dipende proprio da noi, ma finora non abbiamo ancora sviluppato la consapevolezza necessaria per ottenere ciò che ci spetta.

Tutto ciò ha, chiaramente, il suo rovescio della medaglia, poiché se il cambiamento dipende dal genere femminile, abbiamo anche il poter di fare qualcosa di concreto affinché si possa accorciare il tempo di attesa per raggiungere la parità di genere.

In questo articolo desidero approfondire il tema con l’intento di generare consapevolezza in chi lo legge, poiché se sei arrivata a scorrere queste righe, probabilmente si tratta di una riflessione che riguarda anche te. Ti invito a prenderti qualche minuto per saperne di più e formulare così il tuo pensiero, anche sulla base della tua esperienza personale.

Hai la comodità di poter leggere questo articolo in pochi minuti, oppure guardarlo o ascoltarlo attraverso il video YouTube e il podcast che trovi di seguito.

Andiamo alla radice della questione

Partendo dal presupposto che il gender gap non riguarda solo la disparità salariale o le posizioni lavorative, credo sia importante capire quanto ci sia in gioco su questa situazione.

Ammetto che, per quanto mi riguarda, non ho vissuto grandi disparità a livello salariale, poiché quando lavoravo in azienda ero l’unica impiegata e all’epoca non avevo idea che il mio stipendio sarebbe stato più alto se fossi stata un uomo. Probabilmente, allora non avrei comunque obiettato e anche solo questo pensiero mi aiuta a realizzare quanta strada ho fatto in questi anni, ma la disparità di genere non avviene solo nel lavoro, ma anche (e soprattutto) nel quotidiano.

Ho 34 anni e ho sentito fin troppo spesso frasi in cui ci si aspetta che prima o poi metta su famiglia e che mi “alleggerisca” di lavoro cominciando a pensare ad altro (e per altro, si intende proprio la famiglia). Partendo dal presupposto che ad oggi non ho idea se voglia o meno una famiglia, trovo scandaloso che ai giorni nostri si abbiano ancora tante aspettative su noi donne. Ho la grande fortuna di discendere dal lato materno da tre generazioni di donne forti e indipendenti. La mia bis-nonna non amava prendersi cura della casa, non si vedeva affatto come una casalinga in attesa che marito e figli rincasassero, così scelse di lavorare pur non avendone bisogno. Ha trovato un posto di lavoro come assistente alla poltrona di uno studio dentistico e amava vestirsi bene facendo qualcosa che la soddisfacesse davvero. Ha educato la sua famiglia a fare la propria parte, non era perfetta, ma sapeva quello che voleva. Mia nonna, invece, dopo essersi sposata, non sopportava l’idea di dover chiedere soldi a mio nonno anche solo per comprarsi un paio di calze, a quei tempi i soldi erano gestione dei mariti e per quanto non le dicesse mai no, lei odiava il concetto alla base per cui doveva dipendere da qualcuno e così anche lei iniziò a lavorare come capo cuoca nelle scuole gestendo il suo team di lavoro in completa autonomia (dopo il suo pensionamento sono arrivate le mense che oggi conosciamo) e ha amministrato il suo denaro a suo piacimento, contribuendo in casa, spendendo per sé e i suoi figli senza chiedere il permesso a nessuno. La storia di mia madre è un po’ diversa, sono state le avversità della vita ad averla resa più indipendente, ma con modelli simili in famiglia non poteva certo essere diversamente. Io rappresento la quarta generazione di queste donne straordinarie e sono la prima a essere diventata imprenditrice portando avanti gli insegnamenti ricevuti per aiutare altre donne.

Hai visto quanto può essere potente il contributo di ognuna anche solo cercando di far valere un proprio diritto? Con questo non voglio dire che è semplice o sempre fattibile, ci sono tante situazioni per cui dovremo ancora combattere, ma esserne consapevoli può fare la differenza sulla scelta che siamo chiamate a fare oggi, perché la disparità di genere parte proprio da questo, dal fatto che ci siano delle aspettative diverse tra uomo e donna. Un uomo deve imparare a prendersi la responsabilità di una famiglia, fare carriera e procedere in quella direzione. La donna, invece, deve imparare a essere di supporto al partner e crescere la prossima generazione. Non importa se anche noi dobbiamo lavorare per il benessere famigliare, non importa se abbiamo dei sogni, delle necessità, noi siamo viste come un supporto della società e in quanto tale siamo le prime chiamate a fare delle rinunce.

Come ti fa sentire questo?  

Rischi e possibili soluzioni

Forse lo avrai notato, accade soprattutto nel mondo del lavoro ma anche nel quotidiano, di usare parole declinate al maschile. Nei ruoli di prestigio generalmente una donna non viene chiamata chirurga, avvocata, arbitra, ingegnera, architetta, sindaca, prefetta, ministra ecc. (N.b.: queste parole non risultano scorrette al correttore automatico, forse sia word che WordPress sono più evoluti di molte altre persone dopotutto!), ma anche le donne vengono chiamate chirurgo, avvocato, arbitro, ingegnere, architetto, sindaco, prefetto, ministro, ecc.

Prima che tu possa sollevare la questione sull’uso corretto della lingua italiana, preferisco precisarlo subito: no, anche la parola declinata al femminile è corretta, ti basta fare una ricerca su Google per averne conferma. Il punto è che per alcune professioni viene già usata la declinazione al femminile perché è socialmente accettato che una donna faccia la commessa, la professoressa, la biologa, la dottoressa (anche se spesso scambiata per l’infermiera senza riconoscere la diversità dei ruoli), o altro, ma se vediamo una donna salire di ruolo, accadono due cose: o questa assume un’impronta maschile, oppure finisce in secondo piano.

Chiaramente ci sono delle eccezioni, non voglio cadere nell’errore di fare di un’erba un fascio, ma generalmente è questo quello che accade, perché una donna per dimostrare il suo valore deve tirare fuori le p***e, ma è questo il punto, noi non le abbiamo e, onestamente, non ci servono!

Ho letto di recente di un’arbitra (di cui non faccio volutamente il nome perché non è utile allo scopo e non è mia intenzione puntare il dito verso la libera scelta altrui) che ha chiesto esplicitamente di essere definita un arbitro, poiché, cito, “Novanta volte su cento è per sottolineare che sono una donna. Quindi, preferisco arbitro.”

Davanti alla sua riflessione mi chiedo: cosa c’è di male sottolineare il fatto che è una donna? In una situazione simile, credo che ognuna possa avere l’occasione di guardare questa esperienza in due modi: possiamo vederla negativamente, quindi il fatto che sottolineino il tuo essere donna è per sminuirti e non puoi farci nulla, oppure vederla come un’opportunità, dove non importa se il tuo essere donna viene sottolineato per sminuirti o darti valore, perché sei tu a portare valore in ciò che fai ed è attraverso le tue azioni che puoi dare l’esempio anche a chi finora non ha avuto il coraggio di alzare la testa e far sentire la propria voce.

In quell’intervista, inoltre, aggiunge: “Credo che quando non ci sarà più l’esigenza di sottolinearlo, allora vorrà dire che ci sarà davvero parità”. Ma è davvero così? In quale modo possiamo ottenere davvero la parità fin quando ci riconosciamo e ci legittimiamo a fare qualcosa di diverso solo restando in schemi patriarcali che ormai non funzionano più?

È qui che sei chiamata a riflettere, perché il cambiamento parte dalla singola persona, parte dalle piccole cose.

Come puoi contribuire alla parità di genere

Riconosco che la situazione può sembrare troppo grande e complessa per essere risolta con bei discorsi e buona volontà, ma da qualche parte bisognerà pur partire, giusto? Il mio invito è proprio quello di non guardare alla meta nella sua interezza, bensì a quello che tu, nel tuo piccolo, come singola persona puoi fare nell’immediato. A questo proposito, ho pensato a tre semplici spunti che puoi seguire fin da subito.

Parlane

La consapevolezza genera altra consapevolezza. Molte persone sono abituate a parlare con parole d’altri, sono impostate con convinzioni e idee che a loro volta sono state trasmesse nella crescita e molti di questi necessitano di essere sradicati il prima possibile. Approfitta di ogni occasione in cui vengono trattati questi temi per dire la tua, per dare un contributo con un pensiero che possa stimolarne di diversi. Troverai persone che rimarranno della propria idea, altre però potrebbero trovare le tue riflessioni utili e anche se dovessi aiutare una sola persona, immagina quella persona a chi altro potrà trasmettere quella nuova consapevolezza. Riesci a vederlo il potere del cambiamento? Anche solo una persona alla volta, si può generare un effetto domino!

Confrontati con altre donne

Siamo abituate a diffidare delle altre donne, ma credo che anche questa abitudine sia radicata nel fatto che ognuna debba faticare il doppio per conquistare i propri traguardi e la competizione generalmente è contemplata solo tra noi perché ancora non abbiamo la possibilità di poter competere equamente con l’altro sesso, non ci sarebbe gara, purtroppo. Quindi, anziché andare alla radice del problema, ce la prendiamo con chi vive le stesse sfide, forse per alcune è più facile, altre magari sono abituate che funziona così. Ancora una volta, spezziamo questo circolo vizioso cercando donne con i nostri stessi intenti e creiamo un confronto costruttivo, cerchiamo aiuti e diamo aiuto dove possiamo. È come il passaparola, prima o poi arriverà qualcosa di utile per te che magari a un’altra non serve e viceversa.

Chiedi e dai supporto

Il segreto è non aspettarsi che sia qualcun altro a combattere le nostre battaglie. Se sei consapevole di cosa accade nella tua vita puoi decidere cosa e come cambiare. Non sempre è facile (anzi, quasi mai lo è), ma il punto è chiedersi quanto ne valga la pena, non solo per noi, ma anche per tutte quelle donne e bambine che possono trarre forza dal tuo esempio e creare insieme a te una cassa di risonanza potente, impossibile da ignorare.

Sono certa emergeranno tantissime nuove consapevolezze e se non sai da dove cominciare, puoi sempre farlo insieme alle altre Strong Women! Puoi raggiungerci nel gruppo segreto, è gratuito! Ti aspetto lì, con amore.

Jessica Pellegrino

COACH TO EMPOWER WOMEN

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